L’oggetto del link alla videochiamata che mi invia Martina è “chiacchiera con Oriana”. Sorrido. Neanche a me sembra di preparare un’intervista, ma di riprendere la chiacchiera interrotta a Parma a dicembre. Mi è rimasto incollato in testa il suo «sono bilingue» che, subito, non ho afferrato. «Sì, parlo e segno.» Sbam! Lingua italiana parlata e Lingua italiana dei segni SONO due lingue. E lei le usa correttamente entrambe. Quindi è bilingue, ovvio.
Che ruolo hai in Barilla? Da quali altri esperienze arrivi?
«Faccio parte del Team Marketing Mulino Bianco. Sono stata in Lavazza a Torino, e prima ancora in L’Oreal, nella gestione del piano di promozione marketing per la comunità sorda. Ho sempre l’obiettivo di rendere i brand più inclusivi.»
Non ho dubbi. Come non ne ho sul fatto che parlare con lei mi apra dei mondi: «Ci sono famiglie sorde da generazioni, questo crea un’identità molto forte. Facciamo comunità da sempre anche perché siamo stati isolati, destinati a istituti, deportati nei campi di sterminio. A volte sembriamo chiusi verso gli udenti, ma è una rabbia atavica, ce l’abbiamo nel dna.»
Illustrazione di Aurora Protopapa
Quali barriere incontri e quali strategie hai trovato per superarle?
«Pochi ambienti di lavoro sono inclusivi. Bisogna insistere, fare cultura per avviare un cambiamento. Nelle aziende in cui ho lavorato ero sempre “la prima”. È bello portare la bandiera della sensibilizzazione, ma iniziare da zero ogni volta è faticoso. In Barilla ho trovato grande disponibilità all’ascolto e alla ricerca di tutto ciò che agevolasse il mio inserimento: ad esempio, il segnale dell’allarme antincendio è visivo e collegato al mio orologio, che vibra quando l’allarme suona e, quand’era obbligatoria, i colleghi indossavano la mascherina trasparente cosicché potessi leggere il labiale. Ho imparato a non avere paura di esprimere le mie necessità, permettendo agli altri di conoscere il mio mondo silenzioso e trovare soluzioni insieme. È difficile, non tutti riescono a condividere, si vergognano, subiscono. Io metto le mani avanti. Non per difesa, ma per farti capire che posso fare quello che fai tu, ma devi parlarmi di fronte, se no perdo il labiale. O magari in videochiamata mi servono i sottotitoli. La disabilità, la mia, la tua, le vostre nel Bullone, può essere un mezzo per far scoprire agli altri punti di vista che non si conoscono. Nel 2023 è il momento di accorgersi che esistono persone e realtà diverse, farle notare, capire le barriere e affrontarle insieme.»
Ma il futuro è già qui. La scuola bilingue di Cossato, vicino Biella, è un riferimento in Italia e in Europa. Martina ha studiato lì fino alle scuole medie: «Ci sono bambini sordi e udenti insieme, imparano la lingua dei segni come qualsiasi altra materia. Gli insegnanti di sostegno seguono i bisogni individuali e l’interprete traduce tutte le lezioni. Io a segnare ho imparato con mamma, che veniva con me anche dalla logopedista. Mia sorella ha frequentato la comunità, imparando lì. Papà cerca di impararla adesso, anche con l’app. A Cossato ero in una bolla, convinta che tutti sapessero segnare. Poi liceo, università e lavoro sono stati una lotta.»
Come racconti la tua sordità?
«Ironizzare è un modo per rompere il ghiaccio. Uno dei vantaggi, in adolescenza per esempio, era che quando litigavo con mia madre, spegnevo gli apparecchi. Da lì il proverbio “non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire”.»
Dulcis in fundo, il Festival di Sanremo. Martina fa parte della squadra di performer LIS dal 2020: «Per i casting nel 2019 inviai il video di un pezzo di Noemi. Ho debuttato con Tecla ed Elettra Lamborghini. Non è mai un lavoro individuale. I colleghi udenti hanno l’udito, noi la lingua e la cultura. Devono camminare insieme. A volte non c’è tempo per segnare in un certo modo, il confronto serve a trovare la modalità che stia nel ritmo e lo trasmetta. Non è una traduzione letterale, ribaltiamo anche frasi intere. Quest’anno c’era una consulente esterna. Non conosceva le canzoni, le mandavamo il video e doveva capire il testo. Mi ha aiutato con “Cause Perse” di Sethu, che in alcuni punti era velocissima.»
Noi ci stiamo allenando con l’app. Al prossimo concerto, facciamo invasione di palco insieme?