Essere un bambino disabile non è stato poi così difficile: fino ai 3 o 4 anni divertirsi giocando era l'unica colonna portante della quotidianità e del vivere nella società dei piccoli. Le prime difficoltà arrivarono quando la competizione e il voler primeggiare iniziarono ad espandersi a macchia d'olio tra i miei compagni. Il tutto non mi spaventava, perché la sfida è sempre stata l'unico carburante che amavo mettere nel serbatoio, per alimentare il motore della volontà. Il problema è che per poter avere un confronto alla pari con chi mi circondava, dovevo costruire nuove strade, non potevo sognare di vincere inseguendo capacità che non possedevo.
Un disabile che viveva in Calabria nei primi anni 2000 e voleva praticare sport poteva al massimo aspirare ad essere spinto con la sua sedia a rotelle in una maratona. L'idea non mi faceva impazzire. Fortunatamente mio padre, uno dei piloti più vincenti del motorsport meridionale e in particolare della Coppa Sila, vide in me un potenziale, così all'età di 5 anni e mezzo mi regalò il primo quad con motore a scoppio. Appena lo portò a casa ci rendemmo conto che l'acceleratore a pollice era troppo lontano rispetto alla manopola e la mia mano non riusciva ad impugnare entrambi, così usando lo stesso fulcro saldammo sul tondino un acceleratore più lungo e aderente, in grado di farmi accelerare e allo stesso tempo di mantenermi saldamente. La scuola elementare mi propose di partecipare alla maratona ed io risposi "parteciperò solo ed esclusivamente in sella al mio quad" e così fu.
Illustrazione di Aurora Protopapa
Ad un certo punto della mia vita ho deciso di provare a diventare autonomo, ma nessuno era in grado di aiutarmi perché nessuno aveva i miei stessi handicap, né la mia famiglia né i terapisti sapevano spiegarmi come fare i passaggi posturali, come lavarmi, come vestirmi, come salire in macchina. In un momento preciso ti rendi conto che nessuno può aiutarti, è brutto vedere i tuoi genitori non saperti consigliare, loro che dovrebbero essere d'esempio. Il problema è che nessuno ha mai percorso la strada che stai percorrendo tu e la verità è che sei tu il pioniere della tua specie. Per trovare un'uscita devi far lavorare la mente compensando tutto il resto: decisi così di prendere una sedia a rotelle, anziché da tetraplegico, da paraplegico, quindi molto più attiva, e giorno dopo giorno con molta pazienza portai l'esperienza del motorsport nella vita quotidiana, man mano limai ogni piccola imperfezione del pilota e del veicolo. Quando ho iniziato a vestirmi da solo le mie articolazioni non erano abbastanza sciolte e non mi permettevano di indossare i pantaloni con facilità, così ebbi l'idea di usare una picozza come prolungamento delle braccia, dopo qualche tempo riuscii a vincere. Ora sono in grado di vestirmi senza alcun ausilio inconsueto (seppur mi serve parecchio tempo), di lavarmi da solo e di fare i passaggi posturali in sicurezza.
Penso di non essere ancora arrivato in cima, molto spesso mi assento con la mente e inizio a pensare a studiare come adattare ogni ausilio alle mie necessità, a come posso diventare sempre più veloce giro dopo giro in quella che è l'autonomia quotidiana, mi ricordo le parole di mio padre, e allora vado in garage e taglio, saldo pezzi di ferro, per adattare qualsiasi oggetto al mio corpo. Da qualche tempo sto collaborando con un'azienda di Reggio Emilia, la My Real Soul e insieme stiamo provando a portare sul mercato ausili dedicati ad una più ampia fascia di disabili.
Il mio talento forse è quello di aggirare l'ostacolo creando sempre nuove strade inesplorate, sono io il pioniere, sono io il sovrano della mia vita e giorno dopo giorno voglio superare nuovi limiti per non lasciare nulla di intentato.