Sono nata primogenita femmina di papà calabrese sindacalista.
Iniziare a lavoricchiare (in nero, come tutti i miei coetanei, nelle ultime estati del liceo) non mi è stato permesso. Non da mio padre, che sarebbe anche stato d'accordo di smarcarsi dalla paghetta settimanale con un po' di anticipo, ma dagli stereotipi che la definizione della prima riga imponeva.
Quante informazioni venivano date per scontate senza premurarsi di indagare la realtà.
Mio fratello non ha avuto problemi, ovviamente. Lui è maschio.
Ecco: questo è il potere degli stereotipi. E forse non ne diventi pienamente cosciente finché non ti trovi in una posizione di svantaggio a causa loro.
Partiamo da un fatto: lo stereotipo è fondamentalmente un meccanismo innato di sopravvivenza che il nostro cervello mette in atto allo scopo di preservarci. In parole spicce: quando vivevamo nelle foreste, non è che avessimo molto tempo per domandarci cosa avesse determinato un movimento nel folto della vegetazione; avrebbe potuto essere un predatore, e perciò scappavamo, e pure di corsa.
La parola ha origine tipografica. È un tipo di stampa che parte da un unico originale in gomma, inchiostrato a ripetizione. Impiantando questo sistema nella nostra testa, un'informazione associata a una caratteristica, vista o sentita dire, anche una sola volta, diventa regola. Diventa lo “stampo” per tutte le volte che reincontreremo quella caratteristica.
Quindi: la femmina è debole, il calabrese è geloso (specie delle figlie), le primogenite “valgono” di più, il sindacalista è un rompiscatole, il maschio può cavarsela da solo, può essere più indipendente, o più facilmente in disaccordo col padre. Risultato? Mio fratello lavora, io no. E ciò come conseguenza di una serie di informazioni non verificate e per gran parte non reali.
"Da più in alto è più difficile". Illustrazione di Aurora Protopapa.
Quante volte vi è successo lo stesso? Con una collega, un nuovo assunto, una donna, uno straniero, una persona in carrozzina… Quante volte invece siete andati oltre, ponendovi, e ponendole pure e soprattutto ai diretti interessati, domande che confermassero o smentissero quelle supposizioni?
Perché non viviamo più nella foresta, e gli incontri potenzialmente mortali sono sensibilmente diminuiti, nell'era moderna. Giusto?
In diversi paesi anglofoni, da diversi anni, vale la regola di inviare i CV senza fotografia né data di nascita e con le sole iniziali. I responsabili HR sono consapevoli del potere degli stereotipi in fase di selezione e fanno il possibile per non cadere nella trappola, magari facendosi sfuggire un brillante candidato. Nessuno può dirsi immune, per quanto illuminato e istruito.
In un mondo in cui la diversità è sbandierata come valore fondante da migliaia, forse milioni di aziende, vale la pena prendere sempre più coscienza del potere che il nostro cervello antico può ancora avere su di noi. Con la richiesta di CV “puliti”, percorsi di decostruzione, incontri e confronti con persone quanto più possibile diverse tra di loro e da noi: per abilità, funzionamento, etnia, nazionalità, genere, background sociale ed economico.
Allenarsi ad ascoltare, fare e farsi domande, non dare mai nulla per scontato, può davvero dare inizio a una rivoluzione.