Stereomiti

Paradigmi alla ribalta (letterale)

Pubblicato da Federica Margherita Corpina il 2 luglio 2024

«Sei disabile, è ovvi-».

No no, aspetta un attimo. A parte che il trend (inglesismo traducibile con “moda” e utilizzato, nel ventunesimo secolo, per indicare un certo tipo di video – anche qui, tecnicisticamente, reel  – andato virale sui social, in particolare Instagram e TikTok) è alla prima singolare, per cui già questa cosa che se sono disabile ho bisogno di qualcuno che parli per me mi pare già un po’ un cliché. Un cliché prima di altri, tra l’altro, visto che il video, nelle sue più disparate declinazioni, altro non è che una lunga (per i tempi di fruizione correnti) carrellata di luoghi comuni. Che per carità, ci sta, ma noi non siamo content creator (e nemmeno stiamo mettendo su un lessico, questa cosa mi sta sfuggendo di mano), per cui il modello sì ce lo prendiamo, ma per rovesciarlo, perché così piace a noi. E quindi, tanto per cominciare, che sono disabile – e tutto quello che questo comporta e che tu, sconosciuto che mi stai di fronte, magari a scuola, magari a lavoro, magari sui mezzi in città, non puoi sapere a priori – lo dico io.

Sono disabile, è ovvio che. Illustrazione di Aurora Protopapa "Forse non è così ovvio che..." Illustrazione di Aurora Protopapa.

Ora, lo so che la prima cosa che ti verrebbe in mente (e anche in cuore, probabilmente: lo apprezzo) di fare è darmi una mano: in qualsiasi modo, pure se non sai se mi serve. Ecco: chiedimelo. Se ne ho bisogno, come la prendo quando mi offrono aiuto, come puoi darmene. Perché lo so che ti viene spontaneo ma sei sempre sul chi va là perché “e se si offende? e se poi non sono in grado? e se non lo sto trattando da pari?”; ne parliamo, di come sto io, di come stai tu, e magari ne esce pure un caffè (se puoi berlo: neanche questo andrebbe dato per scontato) al primo bar accessibile sulla strada.

Lo stai pensando, e se non lo stai pensando ti faccio pensare io che ogni tanto magari anche tu l’hai pensato: ma con me, effettivamente, si può parlare? Del tempo che fa, dei massimi sistemi, di film, serie, libri, canzoni, politica, sesso. Dipende. Ma, anche qui, dare per assodato che se sono in sedia a rotelle o non articolo bene le parole significa che non articolo bene nemmeno i pensieri direi che è un gran bel preconcetto anche questo. Se poi mi guardi con quegli occhi che dicono “poverino”, quasi ti sentissi in dovere di provare pietà per compensare un tuo privilegio e stessi visualizzando, dietro una patina di drammatico luccicore, tutte le cose che secondo te non sono in grado di fare (ne sparo una a caso: la patente), mi sa che di video per ammorbidire stereotipi ne dobbiamo filmare ancora parecchi. Inizierei con questo: non sono “sana”, ma non è così ovvio che tu lo veda.