Già di suo è indubbio che la parola prospettiva, a partire, appunto, dalla parola stessa, sporga per natura – ed etimologia – in avanti (pro-). Ma a prescindere dal senso in cui vogliamo intenderla – geometrico, artistico, geografico, teatrale, figurato – presuppone inevitabilmente, a sua volta, un qualche punto di osservazione. Un punto, insomma, da cui poi ci si sbilanci, generalmente con lo sguardo, letterale o metaforico che sia, verso qualcosa che ci sta di fronte (ma che non è detto ci guardi a sua volta).
Ora, la domanda sorge spontanea: si può avere prospettiva, o una prospettiva che dir si voglia (o si scelga), quando non si sa da dov’è che partono gli occhi, né tantomeno cosa vi sta dietro (e che poi in senso anatomico ci sia giusto giusto la retina per me non è un caso)? No, okay, non è vero, così spontaneo come pensiero magari non è, ma vi assicuro che se come me aveste ascoltato i cinque episodi di “Smemorati”, il podcast scritto da Anna Maria Selini e prodotto da Chora Media per GE Healthcare, di riflessioni su questa linea qua ne avreste fatte parecchie anche voi. In estrema sintesi: l’indagine di una figlia, giornalista per professione, che le domande, quando l’Alzheimer comincia a portarle via il Giulio, suo padre, comincia a farle a lui; perché se lei chiede, lui racconta, e allora, metti pure dovesse tappare i buchi con invenzioni (spoiler: le ricerche di Anna Maria proveranno esattamente il contrario, e cioè che tanti suoi racconti colmano in verità certi vuoti nella storia e memoria del piccolo paese in cui il Giulio è cresciuto), c’è.
"Pro-memoria".
Nella nostra voce, noi siamo. E così però pure nei ricordi, nelle persone che sanno il nostro nome e il cui nome sappiamo pronunciare a nostra volta senza tirare a indovinare, nel sapere che e chi siamo, appunto. Cosa succede, perciò, quando una patologia neurodegenerativa dal corso irreversibile inizia a distruggere progressivamente le cellule del nostro cervello? O del cervello di qualcuno che ci è molto caro, e nei cui occhi, finora, abbiamo letto di essere? Esiste domani per chi non ricorda cos’ha mangiato ieri né per quale motivo si sia alzato dalla poltrona una manciata di secondi fa? Esiste prospettiva per chi dimentica di star dimenticando? E per chi si sente dimenticato?
Domande domande domande domande e ancora domande. Avrei voluto farle a qualcuno che ne sapesse di più, per scriverci a seguire, magari, pure delle risposte. Poi però ho pensato che anche solo condividerle potesse essere, già di suo, un po’ una mezza risposta. Un ricordare le 600mila persone che solo in Italia sono affette da questa malattia, i 3 milioni, tra familiari e assistenti, che ne sono indirettamente colpiti, i nomi che lottano per non sbiadire quando non più pronunciati, quelli cui viene sottratta persino la coscienza di vedersi sparire. Forse, però, mi viene da dire, l’unico avanti che resta da guardare sono proprio gli occhi che abbiamo di fronte: serve coraggio per reggerne lo sguardo anche quando non vi rimane più scritto niente, ma è l’unico modo per dar loro qualcosa da vedere, e per imprimere nei nostri un ricordo che, questo sì, si sporga il più avanti possibile.