Non mi è mai piaciuta la parola lotta. Ho sempre preferito il confronto allo scontro, anche con la malattia. Eppure, quando ti ammali ti rendi conto che non dovrai combattere solo contro la malattia; esistono altre lotte, necessarie, per r(esistere), contro l’invisibilità.
Ancora oggi ci sono patologie invisibili, non riconosciute dalla società e dalle istituzioni, di cui la cura è ancora un privilegio per pochi, e lottare per poter far sentire la propria voce è essenziale.
C’è chi questa lotta l’ha promossa e continua a sostenerla, come Maruska Albertazzi.
Albertazzi si occupa di divulgazione e sensibilizzazione sui disturbi del comportamento alimentare. È membro fondatore del Movimento lilla, con il quale si attiva per garantire la giusta attenzione e le giuste cure per chi soffre di queste patologie. Ho avuto modo di confrontarmi con lei e aprire un dibattito su ciò che è lotta.
Maruska Albertazzi. Illustrazione di Aurora Protopapa.
Qual è stata la tua prima vera lotta?
Mi viene subito in mente la prima manifestazione con il movimento lilla, organizzata spontaneamente scendendo in piazza.
Durante la pandemia, i casi di DCA sono aumentati in maniera esponenziale, così come i messaggi di aiuto che mi arrivavano. L’unica cosa rimasta uguale erano i fondi stanziati: pochi, non abbastanza per poter sostenere le cure o iniziare percorsi terapeutici adeguati. Di fronte a una situazione in cui non avevamo risposte, siamo scesi in piazza con un obiettivo: essere visti, ma soprattutto ascoltati, a partire dalle istituzioni. Quello è stato il passo verso una lotta che ancora portiamo avanti su diversi piani.
Spesso chi soffre di malattie considerate dagli altri invisibili porta con sé un senso di vergogna e di colpa anche nella sofferenza. Pensi che il modo in cui queste malattie vengono rappresentate giochi un ruolo in questo?
Di sicuro vi è un bias di rappresentazione, non solo nella società, ma anche tra i clinici. Siamo alla ricerca del sintomo fisico evidente che posa considerare la malattia tale, quando appunto nel caso dei DCA questa non è sempre evidente. Perciò è essenziale che vi sia un impegno anche nella comunicazione, tramite un cambiamento della narrazione.
Ancora oggi i disturbi mentali portano dietro di sé uno stigma e paura da parte della società, che può essere sradicato solo attraverso l’informazione.
Cosa diresti a chi ora leggendoci vorrebbe prender parte a questa lotta, cambiando il proprio punto di vista?
Direi di guardare innanzitutto attorno a sé e capire che i disturbi mentali, come un DCA, non sono così lontani da noi, ma ci riguardano, anche se indirettamente.
Un DCA non curato comporterà in futuro una spesa aggiuntiva per il SSN, con patologie ancora più gravi e spese ancora più alte. Occorre capire quanto è importante per la società disporre di adeguate cure per ogni malattia.